IL GRUPPO ‘PASSIO’ E LE RIUNIONI DEL GIOVEDI’ SERA
Rimasta vedova, lungi dallo sgomentarsi di fronte alle responsabilità che le derivavano dal carico dei numerosi figli, di cui ancora sei in età scolare, intensificò ulteriormente l’impegno in parrocchia, dove per molti anni animò e guidò il gruppo “Passio”, che raccoglieva persone volenterose che s’impegnavano a visitare gli ammalati per esser loro di conforto e portare una parola di speranza cristiana.
Non tralasciò neppure, come era sua abitudine da anni, di recarsi di quando in quando pellegrina a S. Giovanni Rotondo, dove, nella parola illuminata di Padre Pio, attingeva forza e saggezza per portare ancor più serenamente la croce di cui era gravata.
I figli maggiori avevano intanto cominciato ad inserirsi nel mondo del lavoro. Se aumentarono le disponibilità economiche, non venne però meno un atteggiamento austero e parsimonioso nell’uso dei beni, per nulla incline al consumismo che con il “boom” economico andava in quegli anni prendendo piede.
Nell’azione educatrice nei confronti dei figli, non mancava mai l’invito a farsi carico dei problemi dei più bisognosi e il suggerimento di sacrificare parte delle non laute mance domenicali a favore di casi segnalati da quegli “avamposti della carità” che allora erano rappresentati quasi esclusivamente dalle missioni.
Col passare degli anni, i figli maggiori cominciarono a lasciare la casa per dar vita, a loro volta, a nuove famiglie. Per mantenere saldi i legami familiari e perché tutti continuassero a tener vivo lo spirito di preghiera e l’amore alla Chiesa, la mamma prese l’iniziativa di riunire tutta la famiglia settimanalmente nella casa paterna. La sera del giovedì, dopo una cena frugale e un pò di conversazione, si recitava, come sempre era stato prima, una corona del rosario. Si prese l’abitudine di leggere una pagina del Vangelo, di meditarla e poi di commentarla con l’aiuto di qualche sacerdote che, di volta in volta, si prestava a farlo.
Presto alla famiglia si unirono amici, vicini e conoscenti:
segno davvero della “fame e sete della parola di Dio” che molti provavano.
Nel 1968 un momento di sereno convivio in famiglia
In primo piano, mamma Carmela con Don Gianni Serughetti e alcuni componenti della sua famiglia.
UN RICHIAMO INTERIORE
La notte del 14 marzo 1968, mamma Carmela sentì in cuor suo una sorta di richiamo. Levatasi, prese un quaderno e una matita e cominciò a scrivere. Scrisse per un ora. Poi tornò a letto e si addormentò.
La mattina dopo, rileggendo quanto aveva scritto, trovò che erano “cose molto belle e vere”. Così avvenne anche le notti seguenti. “Erano cose utili alla mia anima, e – pensavo – certamente anche all’anima dei miei figli, un giorno” annoterà poi nei suoi ricordi.
Da allora, per oltre dieci anni, ella scrisse quotidianamente, riempiendo migliaia e migliaia di pagine di quaderno, dove col suo proprio stile, piano ed espressivo, alla portata dei più semplici, si succedevano gli appelli di Gesù misericordioso, di Maria SS. e dei santi.
In un mondo dilaniato dall’odio e dalla violenza, segnato dalle contrapposizioni e dall’inimicizia, giungevano gli appelli di Gesù misericordioso e della Madre del divino Amore ad affermare il primato della carità, la necessità della riconciliazione, l’economia del perdono. Gli uomini smarriti e scoraggiati venivano chiamati a riscoprire la Parola che non tramonta, il Vangelo; ad aprirsi all’azione redentrice di Cristo, ad affidarsi all’aiuto e all’amore della Madre, a trovare forza e vigore nei Sacramenti e a camminare uniti in comunione generosa e fedele con la Chiesa e il suo Pastore.
I tribolati, i sofferenti erano invitati a innestarsi col loro carico di dolore al corpo vivo di Cristo e dare così ad esso un significato salvifico e potere redentivo.
IL CENACOLO DELLA DIVINA MISERICORDIA
Nel cuore di Milano, così, una casa come tante altre diventava un nuovo “cenacolo”, piccola oasi di pace e d’amore.
Alla partecipazione quotidiana all’Eucaristia, alla recita del Rosario in famiglia, alla preghiera personale – di giorno, ma specialmente di notte -, alle faccende domestiche, all’interessamento quotidiano e concreto per i figli ancora in famiglia e per quelli già sposati, all’aiuto discreto a persone in stato di bisogno, poveri e sofferenti, si aggiunsero così per mamma Carmela numerose iniziative di apostolato, l’accoglienza ai gruppi che da ogni dove giungevano per riunirsi a pregare, i colloqui personali con persone desiderose di una parola di conforto, le decine di telefonate al giorno, i cumuli di corrispondenza: il tutto affrontato con spirito di abnegazione, generosità ed entusiasmo.
Vi è più di un elemento che sembra accomunare l’apostolato che veniva svolgendo mamma Carmela alla missione che era stata di suor Faustina. Comune era la spiritualità che le animava – quella propria di Teresa di Lisieux e della sua “piccola via” – come comune era il richiamo insistente all’abbandono fiducioso alla misericordia di Dio.
Ispirata da Gesù, mamma Carmela scriveva: “Vi chiamo per dirvi quanto è grande la mia misericordia. Desidero farvi dono dell’amore che avvampa nel mio cuore. Chiamo anche voi ad essere misericordiosi e buoni. Non siate giudici severi gli uni degli altri, ma nel compatimento, nella comprensione e in quella carità che vi affratella, sappiate edificarvi a vicenda”.
E, in altra occasione: “Grazie per la diffusione del mio sacro Volto. Benedirò quelle famiglie nelle quali verrà esposta la mia immagine. Convertirò i peccatori che in esse abitano, aiuterò i buoni a perfezionarsi, i tiepidi a riscaldarsi. Provvederò ai loro bisogni e li aiuterò in ogni loro necessità spirituale e materiale. Rivolgetevi spesso a me, invocandomi cosi: Gesù misericordioso, confidiamo in te, abbi pietà di noi e del mondo intero”.
E ancora, la vigilia della Domenica in Albis del 1969: “Figlia mia, nell’immensità del mio amore e della mia misericordia, ti prometto che chiunque avrà celebrato con particolare solennità la festa del mio Amore misericordioso con vero intento d’amore, verrà accolto nel mio cuore con particolare tenerezza. Gli svelerò i miei segreti, gli parlerò al cuore e lo considererò come confidente ed amico”.
Dal “cenacolo” di viale Lunigiana si diramò, negli anni successivi, una fitta rete di gruppi di preghiera che, accomunati dalla medesima spiritualità della Misericordia e da un solido orientamento mariano (“Ad Jesum per Mariam”), varcò presto i confini d’Italia e d’Europa fino a toccare gli altri continenti.
IL PASSAGGIO ALLA VITA DEL CIELO
La salute fisica di mamma Carmela, già provata dalle numerose maternità, dagli assilli della famiglia e dal crescente lavoro di apostolato, con il passare degli anni dovette risentirne.
Ricoverata in ospedale una prima volta a Milano nel 1972, lo era stata nuovamente a Domodossola nel corso dell’estate 1976. Lasciato l’ospedale e rientrata a casa ancora malata, a partire dal 13 ottobre, anniversario delle apparizioni della Madonna di Fatima, cominciò a migliorare e a riprendere poco a poco le sue attività abituali. Il 7 settembre 1978, cadendo per strada mentre si recava in chiesa, si ruppe la mano destra. Nelle settimane successive, il suo stato complessivo di salute cominciò ad accusare un serio peggioramento. Ciò nonostante dal 24 al 27 settembre, febbricitante, guidò ancora un centinaio di persone del Gruppo agli esercizi spirituali che si svolgevano come di consueto al “Salesianum” di Tavernola (Como).
Fu controvoglia che la domenica 22 ottobre 1978, a seguito di ripetute e dolorose coliche biliari, mamma Carmela entrò all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, dove le fu diagnosticata una grave infezione alla cistifellea, che richiedeva un tempestivo intervento chirurgico.
La domenica 29 ottobre, ultima domenica del mese del rosario, spinta dal temperamento di apostolo che l’aveva sempre caratterizzata, e a dispetto della debolezza e della febbre, rientrò a casa – nel suo cenacolo – per animare l’abituale riunione di preghiera. Tornò esausta all’ospedale alle 19,30.
La febbre persistente aveva in un primo tempo sconsigliato i medici dall’intervenire. Poi, l’impossibilità di rinviare ulteriormente l’intervento li spinse a rischiare il tutto per tutto.
La malata fu operata d’urgenza mercoledì 15 novembre.
Purtroppo, l’operazione non ottenne i risultati sperati. Il corpo debilitato, privo di sostentamento non reagiva più.
Dall’ingresso in ospedale, infatti, la malata non tollerava alcun alimento. La si sosteneva con trasfusioni di sangue e fleboclisi.
Sabato 25 novembre il suo stato si aggravò ulteriormente. Nel pomeriggio tutta la famiglia era intorno a lei. Verso sera, dopo che il cappellano dell’ospedale le ebbe amministrato il Sacramento degli infermi, chiese ai figli di andare tutti insieme a pregare nella cappella di viale Lunigiana. La figlia maggiore ed uno dei figli, assieme al direttore spirituale della mamma, restarono presso di lei, recitando il rosario.
Alle ore 22, facendosi critiche le sue condizioni, ne furono avvertiti gli altri figli e figlie, che giunsero poco dopo al suo capezzale, presso cui erano nel frattempo convenute anche le componenti della piccola comunità femminile, cui – dall’agosto di quell’anno – mamma Carmela aveva dato inizio.
Pregarono tutti insieme accanto alla mamma che nel frattempo aveva perso conoscenza e la videro addormentarsi nella pace del Signore: erano le ore 23 del 25 novembre 1978.
Domenica 26, Festa di Cristo Re, le spoglie furono portate in viale Lunigiana e composte nella cappella: mamma Carmela riposava, distesa, contornata d rose e pareva dormire.
1 funerali furono fissati per l’indomani, lunedì 27 novembre, anniversario della Madonna della Medaglia Miracolosa. Quasi una delicatezza della Madonna verso la sua apostola del rosario che tante volte, in questa cappella, aveva pregato e fatto pregare davanti alla statua della “Vergine coi raggi”.
Verso le ore 14 si cominciò la recita del rosario. L’affluenza di persone, venute per l’ultimo saluto a mamma Carmela e a pregare per lei e con lei, era tale che i componenti della famiglia a malapena riuscirono a entrare in cappella. Poi giunsero i sacerdoti, seguiti dal carro funebre.
Verso le 15 mamma Carmela uscì per l’ultima volta da casa sua. Vi era una folla tale che fu necessario l’intervento dei vigili urbani per regolare il traffico. Il corteo si diresse verso la chiesa parrocchiale di S. Agostino, che fu presto colma.
La S. Messa cominciò alle 15,20. Il Prevosto, don Mario Bava, concelebrò con altri tredici sacerdoti e pronunciò una commossa omelia. Dopodiché la salma fu portata al Cimitero Maggiore di Musocco, dove erano già sepolti lo sposo, Giuseppe Carabelli, ed il figlio, scomparso nel 1965. Riparto 72/B celletta 1855.
MAMMA CARMELA: LA VITA COME DONO E PREGHIERA
Ecco le parole con cui fu ricordata, qualche anno dopo la morte, la figura di mamma Carmela:
“Al di là del carisma specifico, da cui ha avuto origine questa grande famiglia, diffusa ormai ovunque, di cui siamo stati chiamati a far parte, credo che il significato più pregnante di mamma Carmela stia in due cose, che poi a ben vedere sono una cosa sola, e che noi abbiamo esperimentato in lei: l’essersi fatta preghiera e l’essersi fatta dono.
Come espressione dell’amore a Dio e dell’amore ai fratelli. Mamma Carmela ci ha insegnato a pregare – lo ha fatto con tanti di noi – ed insieme si è davvero data tutta alle cose di Dio ed a noi, alla sua famiglia di sangue e alla sua famiglia spirituale. Si è “eucaristizzata”, se così si può dire, si è lasciata consumare da noi e lo ha fatto con forza, con generosità, con entusiasmo nella semplicità del quotidiano, senza farlo pesare.
Ha messo la sua vita nelle nostre mani, che poi era il modo di metterla nelle mani di Gesù: giorno dopo giorno si è presa sulle spalle o nel cuore i nostri problemi, le nostre angustie, le nostre ansie e ci ha insegnato a chi ricorrere e dove acquietarci: da quella Mamma che Gesù, sulla croce, pochi attimi prima di spirare, quasi in un testamento, ci ha donato come nostra Mamma e poi, tramite Lei, nel cuore di Gesù Misericordioso”.